REQUIEM PER UN CANE, di Carlo Coccioli (e il ricordo di Tobia)

Ho scritto spesso, nel mio piccolo, racconti con animali protagonisti, sia come narratori in prima persona che come comprimari importanti. È un universo suggestivo, e succede che prima o poi chi è avvezzo alla scrittura si cimenti a parlarne, probabilmente per una questione di sensibilità. Fra gli scrittori autentici che lo hanno fatto, prima e meglio di me, c’è Carlo Coccioli, con il suo bel libro dal titolo Requiem per un cane, del 1973, riproposto di recente da Marsilio Editore.
Ho voluto leggerlo per vari motivi.
Il primo era che ero incuriosita dalla storia: lo scrittore ha tentato di raccontare il suo cane Fiorello, gli ha dato la voce, ha riassunto i loro tanti anni condivisi, un lungo amore, un’avventura terminata con la morte del cane.
Il secondo motivo era che conoscevo già l’autore, l’ho apprezzato in altri due libri, e volevo vedere come aveva trattato questo tema delicatissimo e molto intimo, pronta a cogliere eventuali insegnamenti, come sempre.

Requiem per un cane è un libro strano.
Non è un vero romanzo, ma potrebbe esserlo, se inteso come la storia di una vita a due, un uomo e il suo cane. Una vita di viaggi, una storia d’amore.
Non è una raccolta di racconti, ma potrebbe esserlo, in quanto tutto il libro non è altro che l’esposizione di episodi, a volte in appena due paginette, perfino in una, come se fossero, appunto, brevi racconti.
Non è un vero e proprio diario: si viaggia avanti e indietro nel tempo, senza un preciso ordine temporale, raccontando aneddoti, a volte a voci alternate, ma si entra anche, senza bussare, in una serie di riflessioni personali assai intime e al contempo dalla portata universale, come in ogni diario che si rispetti.

Non importa cosa sia questo libro: forse, come pare sia stato all’origine, niente altro che un mezzo terapeutico per superare il dolore di una perdita.
Ciò che conta è che il tutto è raccontato in modo molto, molto bello. Un livello inarrivabile per qualità di prosa e coinvolgimento, che mi ha fatto rivivere con emozione una faccenda personale: i miei anni di vita con il vecchio gatto Tobia.
È questo, in fondo, l’obiettivo non dichiarato di chi scrive storie: la ricerca della condivisione.

Coccioli parte dalla morte del suo cane, avvenuta quando la bestia aveva 15 anni; cieco da due, l’animale è ormai sofferente e acciaccato, eppure è chiaro che il dolore più grande lo prova l’uomo nel vedere l’amico di sempre ridotto in una condizione di non ritorno. Di fronte alla sofferenza della creatura fedele l’uomo avverte l’impotenza della propria condizione di dio senza poteri: per un animale domestico, infatti, l’uomo è dio. Un dio che, nel momento del bisogno, non è capace di dare alcun aiuto, semmai fugge, sconfitto.
Eccola, già da qui, dalle prime pagine, l’empatia fra autore e lettore, quel punto così difficile da raggiungere quando si scrive. Io, lettrice, mi sono riconosciuta nella rabbia dell’autore, nella disfatta emotiva di quando due anni fa, come lui, assistevo al lento consumarsi del mio anziano gatto, morto quasi diciottenne.

“Perché il vero ed Eterno, arbitro dell’infinità dei poteri, permette questo scandalo, il dolore di un innocente
?”, si chiede Coccioli. Me lo sono sempre chiesta pure io. E altri miei pensieri ho ritrovato in queste pagine.

Siamo impreparati di fronte al dolore. Forse ce lo siamo meritati, quella volta nell’Eden, ma quando è colpita l’innocenza non sappiamo accettarlo. Un animale è, per definizione, innocente. Come lo è un bambino. Come lo è un malato terminale, che non importa cosa sia stato in passato: nel momento di una fine che non arriva mai, la sofferenza e l’agonia sono semplicemente ingiuste e intollerabili.
Quando Coccioli descrive gli ultimi giorni del suo cane io rivivo gli ultimi giorni di un gatto che ha incrociato la sua strada con la mia fin dal proprio concepimento, avvenuto sotto i miei occhi. Uguali, per me e per lo scrittore di tanti anni fa, lo strazio nel sentire l’ultimo battito del cuore amato, l’ultimo respiro sotto le nostre mani.

È questa la magia della narrazione, rendere comune, vivo e identificabile un sentimento privato. Solo chi le parole le sa usare, anche quando è dilaniato dal male di vivere a causa di perdite inconsolabili, può arrivare a tanto.
Io non sono stata capace di sublimare la perdita di Tobia facendone un eroe dei miei racconti. Questa messa a nudo di sentimenti privati forse mi è mancata, fra tutti i miei racconti. A lui ho dedicato solo un post del mio vecchio blog, ma non un romanzo.
A Coccioli invece è riuscito molto bene. L’ho realizzato quando, leggendo, ho bagnato le pagine di lacrime.

Andando a ritroso nel tempo lo scrittore continua a raccontare episodi di vita insieme.
La voglia fino ad allora sconosciuta di avere un cane, favorita dall’essersi imbattuto in un randagio apparentemente moribondo, poi rivelatosi invece vitale e orgoglioso.
La scelta nel canile, la prima difficoltà quando il cucciolo rischia la vita e lo scrittore lo assiste con tutti mezzi, compresi quelli del cuore.
Le lotte dell’animale con la governante, il caratteraccio, la fierezza, il suo vegliare sul padrone-dio, in silenzio, senza mai tradirlo.
E i viaggi insieme, spicchi di luoghi da favola (Parigi, Firenze, il Messico) che fanno da cornice unica ad avventure condivise. Coccioli che non sceglie un albergo se non può ospitare anche il suo cane, e piuttosto si adatta a rifugi squallidi. Il cane che per amore sopporta trattamenti difficili, perché in treno e in aereo vigono leggi insensibili.
Piccoli attimi di estrema semplicità, seppure in una vita, quella dello scrittore, che semplice non doveva essere. Attimi riconoscibili da qualunque possessore di un cane, o di un gatto.

Infine la malattia della bestia, lo sconcerto, la paura della fine.
La paura è tutta dell’uomo, che da vile qual è non l’accetta, ma non è del cane.
Ci sono “cose essenziali, altre che non lo sono. Forse vivere utilmente è imparare a distinguere fra le prime e le seconde. L’uomo lo impara raramente. Gli animali non hanno bisogno d’impararlo, lo sanno già.
Fiorello sa cosa è essenziale, e lo insegna al suo padrone semplicemente vivendo. Le bestie non si pongono domande, accettano di essere e accettano ciò che viene senza disperarsi. Le domande le lasciano agli uomini, perché “Dio m’ha fatto uomo di domande e in più mi ha dato il sospetto che le domande siano peccato […]”.
E sono domande antiche, se in qualche modo le troviamo, per esempio, già nel Leopardi e nel suo canto notturno di un pastore errante, dove l’uomo prende atto che il gregge vive senza consapevolezza ed è felice, lasciando a lui tutto il tormento del pensiero.

Dimmi: perchè giacendo
A bell’agio, ozioso,
S’appaga ogni animale;
Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?

Arrivano quindi, inquietanti e puntuali, inevitabili, i quesiti su cosa c’è dopo la morte, anche se la morte è quella di un cane. In quale dimensione vanno a stare le bestie amate? Nella stessa dei padroni? Sarà un ritrovarsi e uno scodinzolare di code, in chissà quale altrove?
Domande angoscianti, a cui Coccioli cerca inutilmente risposta durante la visita ad un cimitero per animali. In un’altalena di sentimenti si alternano momenti di autentica felicità a nuovi dubbi del tipo: “Ma siamo sicuri che moriremo? In fondo solo Dio lo sa”.

Tutto questo lavorio dell’anima “solo” per il fatto di avere un cane… sembra incredibile, a chi un cane non ce l’ha. Ma chi ne ha avuto almeno uno, nella vita, sa che è davvero così.

Non posso certo raccontare tutti i piccoli episodi del libro, ma posso assicurare che vale la pena leggerli. Un consiglio che mi sento di dare un po’ a tutti:
A chi ama gli animali.
A chi si pone domande esistenziali.
A chi gradisce una scrittura non banale, colta e un po’ poetica.
A chi cerca di guardare con gli occhi dell’amore anche le piccole cose.
A chi ha vissuto una parte del suo viaggio con una creatura diversa da sé, che gli ha insegnato, o ci ha provato, l’arte di vivere.

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3 Risposte to “REQUIEM PER UN CANE, di Carlo Coccioli (e il ricordo di Tobia)”

  1. golenaprofondamtb Says:

    Ciao Ramona,
    bello leggerti e, attraverso la descrizione di un libro letto, sentire raccontare, in fondo, un po’ anche di te.

    Ciao

    Peda

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  2. ramona Says:

    E’ vero, anche nelle letture ci metto un po’ di me, perchè se così non accade, vuol dire che la lettura mi è scivolata addosso senza traccia. Buon lunedì, Peda!

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  3. clelia pierangela pieri Says:

    Grazie. Me lo cerco.
    c.

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