ANIMALI CHE SALVANO L’ANIMA. L’ESPERIENZA NEL CARCERE DI GORGONA.

Se un libro nasce per fare emozionare, questo piccolo volume assolve in pieno il suo compito.

Incappo per caso nel titolo, leggendo distrattamente uno di quei materiali pubblicitari che arrivano per posta a sollecitare contributi per le cause umanitarie più disparate e disperate. Un plico della LAV (Lega Anti Vivisezione), che si batte da sempre per il benessere animale. Sono una sostenitrice occasionale di questa associazione, come di altre, e ciò comporta che arrivino a casa continui solleciti a rinnovare contributi economici per sostenere le varie attività benefiche. Una scocciatura, detto tra noi, ma solo per l’insistenza sfacciata, a volte quasi molesta, non per i fini.

Questa volta nel plico in questione si nomina il libro “Animali che salvano l’anima. L’esperienza nel carcere di Gorgona”, e mi incuriosisco. Finisco con l’acquistare il libro, che è stato pubblicato proprio con il contributo della LAV, e i cui proventi andranno a finanziare i numerosi progetti in cantiere.

Si tratta di una raccolta di pochi racconti, scritti in modo molto semplice, a volte elementare, da alcuni detenuti del carcere di Gorgona. Ma è un libro che apre vari scenari di riflessione.

Premessa doverosa. La Gorgona è un’isola dell’arcipelago toscano, di fronte a Livorno, che ospita un istituto penitenziario. Fino a qualche tempo fa il carcere era legato a un’attività di macellazione di animali allevati in loco. Erano gli stessi detenuti (oggi dovrebbero chiamarsi persone private della libertà) che in una discutibile attività di recupero sociale dovevano occuparsi del lavoro nel macello. Grazie a una intelligente e insistente azione della LAV, il macello è stato chiuso, molti animali trasferiti, tanti lasciati alle cure dei detenuti. La storia di questa trasformazione è nella prima parte del volumetto, dove si trovano tra le altre le testimonianze del direttore del carcere e della docente di scrittura creativa Prita Grassi, colei che ha avviato un progetto sicuramente di più elevato valore sociale della macellazione, e in qualche modo riabilitativo. Insieme hanno elaborato un laboratorio di scrittura per i detenuti che, ispirato dal contesto particolare della collocazione dell’istituto detentivo, ha per oggetto il loro rapporto personale con gli animali.

Con un’adesione dapprima timida, poi sempre più partecipata, nascono dei raccontini semplici, eppure commoventi, episodi di vita delle persone detenute vissuta con un animale, accompagnati perfino da bellissimi disegni.

Ecco, io sono riuscita a commuovermi.

In nessuno dei racconti si fa accenno alla situazione attuale, al massimo si accenna a qualche esperienza con piccoli animali in altri carceri. Non conosciamo le motivazioni per cui queste persone hanno dei debiti con la società. Si può a volte intuire una vita difficile in certi ambienti frequentati nella vita passata. Per esempio in un racconto si parla come se fosse una cosa normale di pitbull addestrati al combattimento. Che però non è l’argomento principale, al contrario, lo è l’adozione di uno di quei cuccioli e l’amore che l’autore del racconto prova nel prendersi cura di lui.

Il prendersi cura è un argomento ricorrente: ci si prende cura di un uccellino, un gattino, di un puledro, di un cane con la rogna. Perfino di cobra velenosi. Sono essenzialmente ricordi di infanzia, o di una gioventù che inizialmente era “normale”, e che in seguito per chissà quale evento, si è trasformata in una complicata condizione di adulti in difficoltà, confluita poi in una condanna penale.

Le domande che ci poniamo ovviamente si riassumono, pur non volendolo, in un unico quesito: persone così sensibili e delicate nel raccontare questo prendersi cura di qualcuno, come hanno potuto sbagliare nella vita in un modo così importante da ritrovarsi dietro le sbarre?

C’è qualcuno che nomina il luogo dove è nato, un difficile quartiere di Napoli. Chi invece accenna a uno stato d’angoscia al pensiero della propria condizione, che solo la presenza dell’animale attenua un poco. Ma nessuno spiega, o prova a spiegare, cosa gli è successo.

Alcuni dei racconti hanno una firma, altri sono anonimi. Rincorrendo una risposta ho fatto una ricerca su uno dei nomi riportati, pur consapevole di una possibile alta percentuale di errore per omonimia. Ho scoperto che questo nome è coinvolto in un processo di omicidio, conclusosi con una condanna in via definitiva nonostante un’appassionata proclamazione d’innocenza.

Fa un po’ impressione, vero? E chissà quali altre storie ci sono dietro quei nomi fittizi, quelle storie di ricordi gentili, quelle parole semplici. Non lo sapremo mai, e forse è giusto così. Non sono tanto i singoli eventi, per quanto potenzialmente e tragicamente affascinanti, di cui si deve parlare qui. I racconti non sono capolavori letterari, sono scritti in modo semplice, pur se opportunamente revisionati e corretti. Ma i contenuti sono di una delicatezza che non ti aspetti. Uno degli autori dice che chi non ama gli animali non può amare neanche i cristiani. Un altro che non vorrebbe mai essere uno squalo, perché pericoloso per gli umani, né un’aquila, che uccide altri animali; meglio formica, che fa comunità con le sue simili ed è utile all’ambiente perché ripulisce il marcio.

Se sospendiamo il giudizio sul reato commesso si fa avanti un’altra riflessione. C’è una persona che ha sbagliato e che sta pagando il suo debito, ma grazie agli animali, prendendosene cura o ripescando un rapporto felice nella propria memoria, riesce a ritrovare una parte buona di sé, quella che andrebbe coltivata. E non soffocata nella sepoltura carceraria.

Sappiamo che gli animali svolgono un ruolo importantissimo nella nostra vita, dalla semplice compagnia, alla ricerca di sopravvissuti nelle catastrofi naturali, alla pet therapy e chi più ne ha più ne metta. Adesso sappiamo che riescono a suscitare sentimenti buoni, di cura, anche in persone socialmente e penalmente condannate. La riabilitazione carceraria dell’isola di Gorgona accudendo animali, invece che macellarli, dovrebbe essere presa ad esempio in più realtà. Nessuno è veramente cattivo se è capace di prendersi cura di un essere innocente.

Prendiamone atto: un animale, in un contesto di sofferenza, è un’oasi benefica nel desolante deserto delle istituzioni, della cronica incapacità di creare regimi di recupero più umani e meno… bestiali.

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